1968 - 2008
Quarant’anni dopo
la primavera di Praga
di Miroslava Hajek
Articolo pubblicato nel dicembre 2008 su il Il Nuovo Aronese
21 agosto 1968 Boheme di Brno compra, vende e affitta i carri armati sovietici (da sinistra M.Hajek, Goldflam, Trunecka, Reznicek, Cockova, Stejskal)
|
Sono trascorsi quarant'anni dalla fine del tentativo di costruire il «comunismo dal volto umano» ed è singolare che il 2008 sia quasi passato senza che in Italia gli ambienti culturali, politici o i mass media abbiano dato a questo avvenimento la giusta risonanza. Soltanto negli ultimi mesi Enzo Bettiza, autore del recente libro «La primavera di Praga. 1968» (Mondadori) ha dato il via a una rovente polemica con Umberto Eco. Secondo Bettiza «a Eco non importava nulla degli studenti e dei lavoratori di Praga: a lui importava solo che il blocco sovietico rimanesse compatto». Il direttore del «Corriere della Sera» Paolo Mieli concorda con Bettiza nella polemica con Eco riguardante la Primavera di Praga. «Bettiza aveva ragione - ha detto Mieli a Cortina durante un dibattito all'interno degli incontri culturali «Cortina InCon-Tra»: Umberto Eco come molti intellettuali di sinistra italiani non è che fosse prettamente a favore dell'intervento sovietico, ma era molto preoccupato che si arrivasse a uno scontro in un fronte, quello sovietico, che si voleva assolutamente unito». «A quei tempi - ha aggiunto Mieli - tutto veniva affidato a una certa realpolitik, che imponeva di mantenere unito il campo anticapitalista. Certamente era un atteggiamento colpevole ed è un atteggiamento che continua anche oggi nella sinistra italiana: si rimpiange la mancata unità contro il nemico di turno. Ma queste unità fittizie - ha concluso - non portano a niente, è meglio perderle che trovarle ». Le polemiche, credo, denunciano la totale incomprensione occidentale per quello che era un tentativo di umanizzare un regime che è scivolato in una realtà del tutto incompatibile anche con la sua idea di partenza; quella di costruire una società più giusta, che doveva offrire opportunità a tutti, aumentare il benessere globale, senza proprietà privata, senza lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Penso che in Italia la commemorazione più appropriata sia stata realizzata, dall'attrice praghese Jitka Frantova, che con la regia di Daniele Salvo, ha portato in scena uno spettacolo che ricordava quelle tragiche vicende e che rendeva omaggio alla personalità morale di Jiri Pelikan che fu suo marito, uomo politico di spicco in quel tormentato periodo. Esiliato in Italia continuò a battersi per il ripristino delle libertà democratiche in Cecoslovacchia. L'esilio toccò anche a me, che allora ero molto giovane e non avevo certo l'importanza o la statura politica di Pelikan. Posso però sostenere a ragione di essere l'unica storica d'arte di origini cecoslovacche in Italia che sia stata allora processata e condannata per motivi politici.
Per fortuna in contumacia, perché dopo l’agosto 1969 mi trovavo in Italia dove avevo partecipato ad una manifestazione internazionale, un incontro tra artisti e personaggi di cultura organizzato dalla galleria Sincron e dalla Pro Loco di Pejo. Questo incontro, chiamato «Undici giorni di arte collettiva», nasceva da un’idea di Bruno Munari. Dopo questa partecipazione avevo ottenuto una borsa di studio privata e quando fu il momento di tornare a casa, compresi in modo definitivo, che quello che mi avrebbe aspettato nel mio paese era il carcere. Vent’anni dopo, sempre senza una mia partecipazione sono stata riabilitata. La mia vicenda presenta comunque anche aspetti assurdi e umoristici che illustrano la stupidità degli organi di repressione di allora. Alla fine degli anni sessanta facevo parte di un insieme eterogeneo di giovani artisti. Tra di noi c’erano scrittori, poeti, pittori, fotografi ed altro. Tutti eravamo virtualmente raggruppati, assumendo l’autoironica denominazione di «Boheme di Brno», intorno all’improbabile figura di un poeta di nome Jan Novak, che scriveva assurde poesie in rime nello stile di realismo socialista. Nell’ambito di questo movimento abbiamo organizzato e anche improvvisato diversi recital in piazza, manifestazioni teatro e happening, anche in parallelo con il gruppo praghese Aktual di Milan Knizak. Negli ultimi anni in repubblica Ceka è cresciuto sempre di più l’interesse intorno alle attività della Boheme di Brno. Sono stati pubblicati diversi libri (Pavel Reznicek), scritti pezzi teatrali (Arnost Goldflam) e recentemente anche la televisione ceca ha ritrasmesso il documentario fantastico girato in quelli anni da Karel Fuksa.
|
|
|
I protagonisti della Boheme di Brno, 1968
da sinistra Pavel Reznicek, Miroslava Hajek, Arnost Goldflam, Ivana Hajek
|
Secondo un mio parere, l’happening più importante lo abbiamo inventato al momento dell’occupazione sovietica il 21 agosto 1968. Quel giorno ci siamo svegliati dentro un incubo. La mattina presto anche la nostra città era stata invasa dai carri armati del Patto di Varsavia. Diversi componenti della Boheme di Brno sono venuti a casa mia ed assieme siamo andati in centro. Penso che l’esperienza fosse traumatica anche per i militari, ragazzi giovani come noi avevano ben capito che non c’era nessuna controrivoluzione in atto. Ci sembrava una situazione inconcepibile, tragicomica e abbiamo reagito d’impulso. Ci siamo organizzati in gruppi che tentavano di comprare, vendere o per lo meno affittare i carri armati sovietici per fare un giro turistico di Brno. Questo accadeva mentre il poeta Pavel Reznicek tentava di ballarci sopra il Lago dei Cigni di Cajkovskij. La gente intorno piangeva ridendo. Un amico fotografo scattava prontamente la documentazione della performance, ma purtroppo si è salvato poco, perché le foto sono state in seguito sequestrate dalla polizia. Penso che sia stata la prima e ultima volta in cui un gruppo di artisti abbia ridicolizzato un evento forse tra i più gravi, l’invasione militare di un paese pacifico e sovrano. Sempre nello spirito del movimento »Boheme di Brno », ribelle, canzonatorio e dissacrante, ma prima della invasione sovietica, fondai assieme ad Arnost Goldflam, oggi famoso drammaturgo, attore e regista, un’associazione fittizia chiamata «I Moribondi». L’idea si diffuse subito, forse perché ci sembrava di essere intrappolati in una realtà senza futuro e soffrivamo realmente di acciacchi veri o psicosomatici. Un membro della Boheme di Brno, che lavorava in una tipografia, ha provveduto a stampare le tessere. Costituimmo pure, ma solo in teoria, un comitato centrale con tutta la burocrazia relativa, per divertirci e anche per ridicolizzare l’apparato politico che soffocava il paese. I veri problemi sono sorti quando un nostro amico nel settembre 1969 venne fermato dalla polizia. Aveva in tasca la tessera dei «Moribondi ». La tessera, completa di fotografia e numerata recava anche la scritta «Si prega la cittadinanza di non restituire alla vita il proprietario di questa tessera». È logico pensare che la polizia avesse creduto di aver trovato l’organizzazione che coordinava i suicidi di protesta. Pensavano che i numeri della tessera significassero l’ordine delle immolazioni. Inoltre per tragica coincidenza nel giugno di quell’anno si suicidò Vladimir Valek, il mio compagno di università e di affetto. Le rappresaglie per la mia famiglia e i miei amici sono state pesanti e hanno toccato anche me che ero in Italia. Però noi non avevamo sicuramente il coraggio di Jan Palach, studente di filosofia, viveva come tutti noi, con grande coinvolgimento e speranza la stagione riformista della Cecoslovacchia. Per protestare contro l’iniziativa bellica del Patto di Varsavia, Palach prima fondò un gruppo di volontari anti-URSS e successivamente decise di cospargersi il corpo di benzina in piazza San Venceslao a Praga, appiccandosi il fuoco con un accendino (16 gennaio 1969). Morì tre giorni dopo. Ai funerali parteciparono 600 mila persone provenienti da tutto il Paese. Decise di suicidarsi morendo carbonizzato, però i suoi appunti e i suoi articoli si sono salvati, perché li tenne in uno zaino molto distante dalle fiamme. Tra le dichiarazioni trovate nei suoi quaderni, spicca questa: «Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy (Zpravy vuol dire 'Notiziario', il giornale delle forze d’occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà». Questo clima portò a drammatiche conseguenze: tanti altri giovani, tra cui l’amico Jan Zajíc, seguirono il suo esempio e si tolsero la vita, nel silenzio degli organi d’informazione, controllati dalle forze d’invasione. Grazie a questo gesto estremo Palach venne considerato come eroe e martire. In molte città di varie nazioni gli furono intitolate strade. Anche la Chiesa Cattolica lo difese, affermando che «Un suicida in certi casi non scende all’Inferno» e che «non sempre Dio è dispiaciuto quando un uomo si toglie il suo bene supremo, la vita». Un atto di sacrificio estremo che ai cechi ricorda quello di Jan Hus, viene spesso strumentalizzato politicamente senza comprendere, che il suo messaggio «bisogna difendere la verità» sia rivolto a tutta l’umanità senza colori e partiti. La presa di coscienza e la riflessione della intellighenzia Cecoslovacca sulle degenerazioni del cosiddetto socialismo o comunismo reale è iniziata nel 1968 con un articolo «duemila parole» scritto da Ludvik Vaculik e apparso nella rivista «Literarni listy». Questo processo di voler umanizzare il regime non ha riscosso in occidente un grosso consenso.
|
|
|
Miroslava Hajek
|
Paradossalmente in quegli anni i cosiddetti progressisti di sinistra giovani e non, preferivano supportare moralmente ciò che c’era di più aberrante e crudele nei regimi comunisti. Da uno sguardo superficiale non comprendevano che le deviazioni erano spesso tramandate dai regimi precedenti come quello zarista o nazista per non parlare di Mao Tze Tung. L’impulso di ripulire il partito comunista cecoslovacco dalle incrostazioni introdotte specialmente dai personaggi cosiddetti voltagabbana o riciclati ha spaventato alcune persone. Da ciò nacque l’iniziativa di cinque individui facenti parte di una piccola frangia stalinista del partito comunista ceco. Terrorizzati di perdere il loro potere invitarono i sovietici ad intervenire con le armi usando il pretesto di voler salvare il comunismo, sostenendo falsamente, che ci fosse in corso una controrivoluzione. Guardando questo avvenimento con un distacco di quarant’anni si riesce a cogliere meglio gli aspetti paradossali della loro iniziativa. Non solo non sono riusciti a salvare il comunismo ma hanno dato l’inizio al suo sfacelo morale ed economico. In più sono persino riusciti a smentire Karl Marx, che sosteneva che la storia la costruiscono le masse e non i singoli individui Nel giro di un attimo, il tentativo di migliorare la società fu represso militarmente dalle truppe dell’Unione Sovietica e degli altri paesi che aderivano al Patto di Varsavia, con la sola eccezione della Romania. Le reazioni delle sinistre dei paesi occidentali ci lasciarono sgomenti. Non ci si aspettava l’indifferenza di tanti intellettuali alle rappresaglie che subirono persone che avevano l’unica colpa di volere un comunismo dal volto umano durante i vent’anni della cosiddetta «normalizzazione» che seguì l’invasione. Lo scrittore ceco Pavel Kohout lo ha indicato come il fallimento dell’intellighenzia delle sinistre occidentali, addicendo un ragionamento lineare: «loro se protestavano non rischiavano sicuramente di essere deportati in Siberia ». Anche nella ex Cecoslovacchia, però, l’argomento della Primavera di Praga è ancora dolente. L’esperienza di quei mesi, il cambiamento veloce e positivo del sistema economico, il clima di entusiasmo ed il senso di rinascita ha segnato tutti noi che l’abbiamo vissuto. Mi capita, quando torno a Praga, di spolverare i ricordi con vecchi amici di allora e mio figlio che non ne può più mi dice «ma come siete noiosi voi con quella storia di Primavera di Praga vi piaceva perché eravate giovani». Al che io gli rispondo: «guarda che noi eravamo giovani anche prima e dopo». Inoltre ci è rimasta la curiosità di come l’esperienza si sarebbe potuta evolvere e come potrebbe essere oggi quel paese senza quell’intervento militare.
[Miroslava Hajek, 2008]
|